Una condizione che riguarda la salute sessuale e non è, certamente, un disordine mentale. Facciamo chiarezza sull’incongruenza di genere
Parlare di qualcosa che non si conosce, o non si è vissuto sulla propria pelle, risulta sempre assai difficile. Ed è proprio dalla sommaria informazione che nascondo i luoghi comuni e le banalità che circolano attorno a delle realtà concrete, e sulle persone transessuali è stato davvero detto tutto.
Un argomento trattato molto spesso nella maniera più incorretta e superficiale ma che, grazie all’operato di attivisti e associazioni, è sempre più divulgato in maniera ampia completa. Ecco perché, quando abbiamo scelto di trattare l’argomento della disforia di genere e del transessualismo, lo abbiamo fatto a seguito di una lunga chiacchierata con chi le cose le conosce bene.
A rispondere alla nostra chiamata è stata Laura Caruso che, insieme a Monica Romano e Daniele Brattoli, ha fondato a Milano l’Associazione per la Cultura e l’Etica Transgenere (Acet). Un ente di volontariato autonomo e indipendente che ha continuato il lavoro del progetto Identità di Genere che, avviato nel 2013, ha offerto supporto, orientamento e gruppi di aiuto alla popolazione transgender.
Ed ecco che, da quelle parole scambiate, siamo riuscite a fare un po’ di chiarezza, a partire proprio dall’accezione disforia di genere che ormai (e finalmente per le persone transgender) può essere considerata obsoleta. A confermarlo è la nuova classificazione dell’OMS che ha eliminato per sempre il transessualismo dall’elenco dei disordini mentali e comportamentali. Il transessualismo oggi viene considerato come un disturbo della salute stessa e ancora, dal 1 gennaio del 2022 il termine “disforia” sarà cancellato, e verrà sostituito come incongruenza di genere.
Ma forse, per comprendere il quadro completo è opportuno fare un piccolo passo indietro. Fino a poco tempo la disforia di genere veniva considerata a tutti gli effetti un disturbo. Ci sono voluti anni affinché venisse riconosciuto che essere transgender non è una malattia mentale, e la vecchia classificazione nella lista delle malattie mentali è stata a lungo uno stigma per le persone trans.
Lasciarla all’interno dell’Icd (classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati) però è stata una scelta necessaria, perché solo in questo modo è stato possibile garantire l’accesso alle cure sanitarie e ormonali alle quali le persone transgender possono scegliere di sottoporsi.
E ora che abbiamo chiarito quell’aspetto, non di poco conto, legato alla terminologia e alla classificazione, cosa dire di quella condizione che riguarda le persone transgender? Una premessa è doverosa: dobbiamo considerare l’identità sessuale di ogni persona come qualcosa che è costruito sulla relazione tra il sesso biologico, l’orientamento sessuale, l’identità e, infine, il ruolo di genere.
Eppure, in questo mondo in cui siamo assolutamente ancorati all’unico schema che conosciamo, c’è ancora chi parla di corpo sbagliato o di errori biologici perché la verità si trova sempre lì, in quella nostra terra di mezzo mentale che non riusciamo a spiegare e che quindi additiamo.
Ma non esistono corpi o identità sbagliate, quanto più una popolazione che non è pronta. La maggior parte della società, ancora oggi, riconosce l’identità di genere come un sinonimo dell’identità sessuale, dovuto anche al fatto che per molto tempo la popolazione è stata definita in soli due generi che corrispondono al sesso biologico. Una convinzione che però esula nelle persone transgender che si sentono imprigionati in un corpo che non le rappresenta.
Ecco che quindi la trasformazione è necessaria per interrompere quel disagio costante che non permette alla persone di riconoscere la propria identità. Un percorso che modifica la materia, non di certo l’anima o lo spirito, supportato poi anche da un iter legale con il riconoscimento di nuovi documenti (cosa che prima avveniva solo dopo essersi sottoposti a intervento chirurgico).
E guai a chiamarla scelta, essere e sentirsi uomo o donna, a prescindere dal proprio corpo è una condizione che porta a un conseguente malessere delle persone che non si riconoscono nel sesso assegnato alla nascita. Un disagio che, attraverso un percorso, può finalmente essere annullato e consentire ai transgender di mostrare alla società quello da sempre sentivano dentro.
(Grazie a Laura Caruso per il tempo che ci ha dedicato)
Ripubblicato dal sito DiLei.it
https://dilei.it/dileicipiace/icongruenza-di-genere/752201/