Un sincero ringraziamento a tutt* coloro che hanno partecipato e in particolare modo a chi ha garantito la sicurezza dell’evento: la Digos, la Polizia, i City Angels. Tutto si è svolto regolarmente e la folla del corteo si è comportata con giudizio. A parte la tematica triste, questi sono gli eventi che vogliamo e dove la popolazione partecipa senza distinzioni di genere, uniti per un obiettivo comune e civile.
Quanti eravamo? Non siamo riusciti a contarci tutti, sicuramente più di duemila e non c’erano solo persone LGBT+, ma eravamo un unica voce, silenziosa durante la marcia, a manifestare per dei diritti negati.
Grazie di cuore al CIG MIlano che ha collaborato attivamente e anche alle numerose associazioni che hanno aderito sia in presenza che con il cuore per via delle distanze, anche se abbiamo avuto persone arrivate da altre città non proprio vicine a Milano.
Ognuno ha fatto una piccola parte, ma eravamo insieme a marciare.
Le cinquecento candele che avevamo preparato, una per ogni persona uccisa dalla transfobia, che sono state 381 quest’anno, si sono esaurite subito. Non ci aspettavamo una partecipazione così sentita.
Durante la marcia silenziosa si udivano solo le voci, nel megafono, che a turno leggevano nomi e motivo della morte. Per noi ognuna di esse è un dolore e ci chiediamo spesso se non saremo noi i prossimi della lista.
La marcia è partita da Porta Venezia ed è arrivata di fronte a Palazzo Marino, sede del comune di Milano. Qui la folla si è disposta a semicerchio mentre alcune persone più o meno famose come attività trans hanno letto, raccontato qualcosa di sentito, espresso un dissenso. In quel momento però eravamo tuttƏ sullo stesso livello.
Cosa ci rimane dentro dopo il termine della manifestazione? Un sentimento che non siamo solƏ, ma che siamo noi in prima linea a doverci battere per i nostri diritti negati, le lungaggini della burocrazia, un migliore accesso alle terapie.
Abbiamo dimostrato, soprattutto a noi stessi, che quando occorre siamo in grado di organizzare in prima persona qualcosa di grande e di importante; che siamo rapidi nel farlo e determinati. Questo è stato il primo evento organizzato totalmente da noi, ovviamente con la collaborazione con altre entità dato che da soli non può fare nulla di così importante, ma tutte le pratiche per la sicurezza, i permessi, la grafica, le campagne social, l’organizzazione sul posto sono made in ACET. Un sentito grazie ad Ala Trans nella persona di Antonia Monopoli per la co-partecipazione all’organizzazione e alla diffusione dell’evento.
Monica Romano “Siamo qui per ricordarvi e ricordare a tutti che non solo questa folla di persone esiste, ma che marcia e marcerà sempre di più e sempre più forte fino a quando non otterrà ciò che le spetta di diritto. A questa folla non importerà di quanto l’ora sia buia, di quanto il governo sia o non sia favorevole: noi non smetteremo di marciare, non smetteremo di combattere per i nostri diritti, mal.
Quello che ci sentiamo di chiedere ad ognuno di voi che ci sta ascoltando non è di marciare con noi, ma di restare qui.
Non permettete a nessuno di farvi portare via, perchè per noi anche esistere è un atto politico, è fare la differenza.
Resistete e rimanete qui, ora e sempre, perchè avete il diritto di avere la vita che meritate, esattamente come chiunque altro.
E quando pensate che stia per finire, guardate la folla in marcia.”
Laura Caruso “Sono molto dispiaciuta di non poter essere presente in questa giornata,
la giornata del TDoR, che per me rappresenta certamente la data più importante tra tutte quelle dedicate alla comunità di cui faccio parte.
Ho partecipato, attraverso interventi e l’organizzazione, a molte commemorazioni dei morti per transfobia, e questa marcia rappresenta certamente l’iniziativa più bella, pensata, voluta, a cui io abbia preso parte.
Non esserci personalmente mi rattrista moltissimo, ma dopo tre anni di slalom il covid ha colpito anche me: sto bene ma non posso purtroppo ancora uscire.
Il 20 novembre di ogni anno ricordiamo i nostri morti, ma non è solo una commemorazione: è anche un momento di riflessione sull’irragionevolezza di assassinii legati alla semplice appartenenza ad una condizione, la nostra, quella di persone trans.
Soffermarsi su questa irragionevolezza dovrebbe condurci a rimuovere tutta questa violenza, e chiudere un cerchio che parte dal ricordo per giungere alla speranza.
Purtroppo, anche nel nostro paese formalmente sostenitore dei diritti delle persone, l’odio è molto presente, e se noi ne vediamo oggi, ricordando queste morti, la porzione evidente, non possiamo ignorare che esiste una base poco visibile ma imponente, sommersa sotto il livello della coscienza che ci fa riconoscere e distinguere la violenza dalle “opinioni”.
Nell’organizzare questa marcia, oltre alla solidarietà di una moltitudine di persone che sono rappresentate da tutte quelle che oggi sono qui, ho fatto molto caso alle insidie di quella base sommersa.
Sia a quella parte quasi fuori dal pelo dell’acqua, e quindi a tratti visibile, di chi è dichiaratamente transfobico
e commenta la nostra marcia con insulti variamente articolati, sia, soprattutto, alla base sommersa, che è quella che più mi fa paura.
In uno dei post social in cui si annunciava la nostra marcia, mi ha colpita un commento, apparentemente molto pacato, di una signora che chiedeva “che cos’è una donna”.
Lo faceva con un finto garbo, con quelle formulette come
“lo chiedo per sapere, senza polemica”.
La signora ha ovviamente portato a casa ciò che desiderava: era un’evidente provocazione alla quale alcune persone hanno risposto,
ma alla fine è stata la signora a dirci che cosa è per lei una donna:
è un essere umano adulto di sesso femminile, nata femmina, con utero e ovaie.
La signora ha rimarcato così ciò che moltissime persone pensano: una donna trans non è una donna, ed è proprio da questa base sommersa che nasce l’odio nei nostri confronti.
Mi pare evidente che le donne trans sono il bersaglio principale dell’odio e della violenza transfobica: noi abbiamo tradito il patto maschilista, lo abbiamo messo in discussione, ed è questo che scatena l’odio cieco che ci viene riservato.
E’ a partire da questa ossessiva ricerca di definirci, di dire che siamo creature bizzarre, di prendere le distanze da noi, che tutto parte. Da questa base nascono le mille difficoltà che le persone transgender affrontano ogni giorno, le emarginazioni,
le esclusioni dal mondo del lavoro, dalla società civile.
Ed è questa base che genera l’odio e la violenza: non siamo persone degne di prendere parte alla convivenza sociale
e possiamo essere sterminate e sterminati.
Invece oggi siamo qui, e il percorso che abbiamo scelto ha una valenza fortemente simbolica: abbiamo marciato verso il centro della città per giungere davanti al luogo che rappresenta la massima espressione istituzionale milanese: Palazzo Marino.
Siamo un puntino piccolo piccolo nel mondo, ma avere il Comune di Milano vicino a noi accende una speranza.
Grazie a tutti di essere venuti fino a qui, al nostro fianco.”
Firmato Laura Caruso (presidente di ACET),
letto da Bianca Iula (segreteria di ACET), che condivide i sentimenti e ha avuto l’onore di riportare le sue parole.
Alec Sebastian D’Aulerio “Il giorno in cui ti hanno messo a tacere per sempre, il tuo silenzio ha acquisito un nuovo valore, una nuova sfumatura. Non era più la pacatezza, la riflessione e la meraviglia della solitudine, ma l’indifferenza e l’omertà di una società che, quelli come noi, non li vuole guardare.
Platone diceva che se uno con la parte migliore del suo occhio, che è la pupilla, guarda la parte migliore dell’occhio dell’altro, vedrà sè stesso. Ma non riuscirà a fare lo stesso se guarda un’altra parte del corpo. Ed il nostro corpo, lo sai, spesso non è riconosciuto, accettato. È un corpo sbagliato. Un corpo che non merita di esistere se non si uniforma a quello altrui, quello “normale”.
Il fatto è che non c’è nulla di normale nella natura e noi lo sappiamo, a conti fatti siamo tutti diversi. Ciò che ci accomuna è l’atto di normalizzare qualcosa o qualcuno, un privilegio del tutto sociale e che i più usano per i propri scopi personali e politici, per dividerci, denigrarci e marginalizzarci.
Non siamo altro che puttane, morti di overdose, ed un nome che non ci è mai appartenuto. Perchè chi resiste, chi ha il coraggio di non portare maschere pirandelliane, volte a depersonalizzarci e frantumare il nostro io, deve essere punito fino alla fine. Perchè l’amore per sè stessi è un valore che genera invidia in chi crede che l’amore abbia una sola forma, come se fosse qualcosa di materiale e modellabile. E tu ci credevi all’amore.
Dal 2008 abbiamo perso cinquemila persone a causa della transfobia. Quest’anno la più giovane aveva 12 anni. E sempre quest’anno, come due anni fa, abbiamo perso un altro amico: te, che in una tua poesia dicesti “guardami, sono Maudit“.
Nessuno tra noi ti potrà più guardare con la sua parte migliore, ma sai, Platone giunse ad una conclusione: se anche l’anima vuole conoscere sé stessa, dovrà specchiarsi in un’altra anima.
Ed io, in un giorno come questo, specchiandomi in te ed altre 380 anime, posso dire che forse è vero, la conoscenza rende infelici. Ma nonostante questo, ti sarò sempre eternamente grato, perché specchiarmi in te mi ha ricordato che c’è di più oltre questo dolore, ed è proprio qui, in mezzo a noi: c’è speranza!”