Il testo base della legge Zan contro l’omotransfobia e la misoginia è approdato alla Camera. La presenza, all’interno del testo, dell’espressione «identità di genere» ha scatenato le reazioni delle fondatrici del movimento Se non ora quando, che hanno scritto una lettera ai firmatari del testo chiedendo una “riflessione sulla terminologia utilizzata, che suscita ambiguità” e sono arrivate ad affermare che tale espressione dissolverebbe la “realtà dei corpi femminili” e che cancellerebbe il fatto che “esistono uomini e donne”. È doveroso precisare – mai mi stancherò, mai ci stancheremo di farlo – che simili prese di posizione non rappresentano la totalità e tantomeno la maggioranza del variegato e complesso femminismo italiano, nell’ambito del quale abbiamo avviato significativi dialoghi e preziosi scambi ormai da tempo. Prima di entrare nel merito di un posizionamento che riteniamo molto grave oltre che antiscientifico, incomprensibile e pericoloso per le conseguenze che potrebbe produrre sul piano politico, vorremmo fare una premessa sul significato di quei termini di riferimento la cui cognizione pare essere sconosciuta (o è un’opportunistica “dimenticanza”?) alla narrazione di alcune femministe radicali e minoritarie ormai riproposta a più riprese su testate anche autorevoli nelle ultime settimane.
Per spiegare a cosa ci riferiamo quando parliamo di «identità di genere», occorre fare riferimento all’ampia letteratura scientifica ormai esistente sull’argomento, che parte dalla definizione di identità sessuale come concetto ampio che è insieme di piani, dimensioni e aspetti interconnessi: il sesso biologico, l’identità di genere, il ruolo di genere e l’orientamento sessuale. Per approfondimenti a riguardo rimando a Il genere. Una guida orientativa della Sipsis, Società Italiana per lo Studio delle Identità Sessuali.
Il sesso biologico è l’appartenenza dell’individuo al sesso maschile o femminile a livello biologico, cromosomico, ormonale ed è determinato dalla conformazione complessiva del corpo. Non mi soffermo qui, per ragioni di brevità, sulla realtà delle persone intersex, per la quale rimando al sito dell’associazione OII-Italia;L’identità di genere è l’identificazione sessuale primaria, “che sta a significare come una persona si autopercepisce interiormente come uomo o donna […] Questa autoidentificazione solitamente si stabilisce nei primi tre anni di vita circa”; il ruolo di genere è un concetto mutuato dalle scienze sociali e rappresenta l’insieme di aspettative sociali e di ruoli che definiscono come gli uomini e le donne debbano essere e comportarsi in un contesto sociale;
l’orientamento sessuale non riguarda invece il soggetto desiderante, ma l’oggetto del desiderio e della nostra attrazione affettiva, emotiva e sessuale verso uno o più generi.
L’identità di genere, insomma, non è quel concetto minaccioso che alcune vorrebbero farci credere: il famoso gender è una mistificazione confezionata ad arte per fare leva sulle paure delle persone, come spiegato magistralmente nella guida Il gender. Che cos’è… e cosa non è!, perché ogni essere umano ha un’identità di genere. Si può infatti avere un sesso biologico femminile e identificarsi come donna; si può avere un sesso biologico maschile e identificarsi come uomo; così come si può nascere in un corpo maschile, identificarsi come donna e vivere come donna nella società, come è capitato a me; o avere un corpo femminile e identificarsi come uomini; o ancora ci si può ritrovare a rigettare la binarietà uomo-donna, andando oltre.Quello che davvero conta, ciò che ci interessa, è che nessuno possa più essere discriminat* e subire violenza – fisica e verbale – per la propria identità di genere, e questo indipendentemente dai percorsi di autodeterminazione intrapresi.
Contrastare le discriminazioni basate sull’identità di genere, come la legge contro l’omotransfobia depositata alla Camera si propone di fare, significherebbe dare protezione a tutte quelle persone che oggi subiscono violenza.
Non dimentichiamo che l’Italia continua ad essere nelle prime posizioni delle classifiche internazionali stilate in occasione del Transgender Day Of Remembrance ogni 20 novembre. Questo significa che ogni anno persone transgender in territorio italiano vengono uccise, pagando con la vita il fatto di avere un identità di genere che non incontra le aspettative sociali. Un silenzioso massacro di cui, ormai da quasi vent’anni, noi denunciamo numeri e modalità ma che i media mainstream continuano a ignorare.Affermare pubblicamente che tutelare l’individuo dalle discriminazioni per la propria identità di genere metterebbe in pericolo l’esistenza delle donne è delirante e fuori da ogni mondo possibile, ed è pericoloso, perché va a dare politicamente man forte alle destre e a un certo fondamentalismo cattolico che vorrebbero che il silenzioso massacro delle persone transgender e gendernonconforming, così come la violenza contro gay, lesbiche e bisessuali, in Italia possano proseguire indisturbati.
Duole e sconcerta constatare che le fautrici di questa alleanza con le destre estreme siano proprio delle femministe che, esattamente come noi attiviste del movimento transgender italiano, hanno fatto dell’autodeterminazione dei corpi e della lotta al patriarcato pubblico i propri valori di riferimento. Ma non sarà certamente l’apprendere di avere delle nemiche in più – lasceremo alla Storia il compito di collocarle nel giusto orizzonte politico – a fermare il nostro cammino verso la piena autodeterminazione e le nostre battaglie, iniziate con le donne trans della “prima ondata” nel 1979 a Milano con la “protesta delle piscine” che portò alla legge 164/82 e che sancì la nascita del movimento trans italiano. Vogliamo una legge contro l’omotransfobia che punisca chi ci odia e chi ci fa del male e, ottenuto questo minimo sindacale per cui l’Europa chiede da molto tempo un adeguamento all’Italia, non ci accontenteremo. Vogliamo anche una nuova legge che sancisca il diritto all’identità di genere per ogni individuo e la piena autodeterminazione di genere. Non sarà il nuovo patriarcato, quello delle donne che pretendono di imporre la propria idea di “donna” – come se il concetto di donna fosse fermo e immutabile e non, invece, come molta letteratura dimostra, bioculturale, cangiante e legato a doppio filo ai periodi storici e ai contesti sociali e culturali di riferimento – a fermare le nostre lotte.
Monica J. Romano, presidenza Associazione
per la Cultura e l’Etica Transgenere (ACET)